Il Centro Studi “Paolo Giaccone” incontra il
Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo, dott.ssa Annamaria Picozzi
1. Che ruolo
rivestono le donne nel sodalizio mafioso?
E’ necessario operare
una distinzione tra l’attualità ed il passato.
In passato, la
struttura della famiglia mafiosa era perfettamente aderente alla struttura patriarcale, arcaica della società e questo
comportava un ruolo ancillare da parte della donna. Questa non era ammessa a
partecipare attivamente all'organizzazione, ma aveva comunque un ruolo di
sostegno e cura. Veniva definita la “vestale del credo mafioso”, nel senso che
il compito era quello di crescere ed educare i figli a prendere il posto del
padre, quando fosse arrivato il loro momento. Il suo ruolo la portava ad
assistere il latitante, il marito o figlio detenuto, sempre e comunque ad avere
cura degli interessi, ma con un ruolo di secondo piano. Possiamo definirla
certamente una favoreggiatrice.
Nei primi anni Novanta,
con il crescere del numero di operazioni di polizia e della magistratura, che
hanno sfoltito notevolmente le fila dell’organizzazione mafiosa sia sotto il
profilo della forza militare che degli organici direttivi, la donna ha, con il
tempo, modificato il suo ruolo, venendo “impiegata” in modo diverso. Ciò perché
si è venuta a creare, anche grazie al grande numero di collaborazioni con la
giustizia, una fibrillazione nell'organigramma mafioso tale per cui si è fatto
ricorso a soggetti che normalmente non potevano assurgere al ruolo di mafiosi,
non potevano far parte dell’organizzazione (minorenni, donne, soggetti che avevano
parenti nelle forze del’ordine,etc).
Specifico però che, almeno allo stato, non
risulta che vi sia stata una cerimonia di affiliazione formale per una donna all'interno di “Cosa Nostra” palermitana. Ci sono state condanne a carico di
donne per concorso esterno ma anche, negli ultimi anni, per 416bis cp ma per
soggetti che di fatto rivestivano un ruolo all'interno dell’organizzazione
mafiosa, ma mai ritualmente affiliate con la nota cerimonia della “punciuta”.
2. Non più, quindi,
solo “sorelle d’omertà”?
Guardando al passato, i rapporti con l’esterno erano normalmente mantenuti dalle donne, che potevano andare a fare visita ai propri congiunti detenuti senza troppi rischi e così favorivano lo scambio di informazioni che avveniva per mezzo delle stesse donne. Con l’entrata in vigore del regime di detenzione carceraria del 41bis (cd “Carcere duro”) ed il suo largo ricorso per gli appartenenti all'organizzazione mafiosa con ruoli apicali, si è notevolmente ridotto il flusso di informazioni che il boss poteva far filtrare all'esterno, cosa che in passato gli permetteva di continuare ad esercitare il suo ruolo di capo. Queste congiunture hanno comportato che la donna non diventasse più e soltanto vettore di informazioni, dal carcere verso l’esterno, ma che avesse anche la possibilità di esercitare un ruolo di supplenza rispetto al marito detenuto. Tutto questo ha messo la donna mafiosa in una condizione di gestione delle ricchezze mafiose e degli affari mafiosi, la donna non era/è più solo esecutrice di ordini, aveva/ha anche un potere decisionale.
3. L’evoluzione del
ruolo della donna unito al dato dell’assenza di una cerimonia formale di
affiliazione, ma di subentro quasi a supplenza di un congiunto, fa pensare che
la donna non possa fare carriera nell'organizzazione senza un legame con un
uomo di mafia. Corretto?
Corretto, il mutamento del dna dell’organizzazione mafiosa è decisamente più lento rispetto a quello della società civile. A quanto ci risulta, “Cosa Nostra” non si è spinta fino al punto di emancipare la figura della donna da quella di un congiunto (a qualunque titolo). Resta un’organizzazione androcentrica. Una donna senza “legami” non può emergere e raggiungere i vertici dell’organizzazione.
4.Non vi sono,
quindi, “pari opportunità” per le donne nell'organizzazione criminale di stampo
mafioso?
No, però abbiamo visto che, ad esempio, mogli o sorelle di esponenti di spicco di “Cosa Nostra” sono riuscite a raggiungere un ruolo apicale grazie alle loro capacità, ma partendo da una certa posizione. Il viatico è stato ed è sempre il cognome o il riferimento ad un componente di spicco, ma quello è il punto di partenza, senza le capacità delle singole donne, queste non sarebbero o non potrebbero mai arrivare a ruoli di rilievo all'interno dell’organizzazione. Esempi noti potrebbero essere Mariangela Di Trapani (moglie di Salvino Madonia) o Giusy Vitale (sorella di Vito e Leonardo e Michele), dotate di grande “carisma”, dimostratesi capaci di gestire il potere e credibili nel farlo all'interno di un contesto quasi esclusivamente maschile.
5. Il cd “decalogo”
dei Lo Piccolo, con riferimento alle donne, è/ è stato osservato?
E’ solo di facciata. Una regola è, per esempio, non tradire la moglie, ma il motto “cherchez la femme” (ndr “segui la donna”) ci ha permesso di trovare molti latitanti legati ad altre donne, che non erano le loro mogli. Diciamo che, per molti appartenenti a “Cosa Nostra”, non vi è corrispondenza nella pratica del decalogo.
6. Spostiamo il
nostro sguardo sul tema minori.
A Palermo vi è stata la prima condanna a carico di un minore per 416bis cp, la condanna a carico di Giovanni Vitale, figlio di Vito e nipote quindi di Giusy, che già a sedici anni è stato condannato dal Tribunale per i Minori di Palermo per la sua appartenenza a “Cosa Nostra”, non per concorso. E qualche altro c’è stato, anche nel resto d’Italia. La guerra dello Stato nei confronti di “Cosa Nostra” ha comportato, come dicevamo, l’impiego di soggetti, da parte dell’organizzazione mafiosa, che normalmente non venivano inseriti nell'organizzazione stessa.
7.
Un sedicenne… vi è
un’età “minima” per far parte dell’organizzazione?
No, non si parla
di età minima, si parla di “picciotti” che vengono cresciuti ed educati al
credo mafioso, ma solo da adulti si ritengono portatori della credibilità per
poter stare dentro l’organizzazione ed agire.
8. Delle tappe da percorrere, un “cursus honorum”?
E’ più un retaggio legato al passato. In genere era il primo omicidio, come reato quasi cerimoniale, che sanciva la “maturità” del soggetto. Ora questo aspetto pare non essere più necessario, il numero dei morti, ridotto rispetto al passato, lo dimostra.
9. Ci sono quindi altri “indicatori” che dimostrano la raggiunta maturità del minore, magari un forte carisma o una spiccata dote “gestionale”.
Certamente, l’essere “figli”. L’essere figlio di un mafioso di spicco è titolo preferenziale per arrivare a certi ruoli. Se per gli altri è necessario “dimostrare” le proprie capacità, per chi viene da una famiglia mafiosa di spicco si presume l’abilità e la capacità, essendo cresciuto in quel contesto.
10.I minori sono “costretti” a seguire le orme dei familiari membri dell’organizzazione mafiosa o sono lasciati liberi?
Lasciati liberi mai. Si deve proseguire il percorso (criminale) intrapreso dai membri della famiglia. Ci si aspetta da loro questo. Per loro pensare ad un futuro diverso vorrebbe dire ripudiare la cultura mafiosa ed è chiaro che in questo c’è bisogno certamente della volontà del singolo, ma anche di aiuto dall'esterno per permettere questo passaggio.
11. Che peso hanno le donne (in quanto mogli, madri, sorelle,
etc) ed i minori (es. figli) nel processo che porta un affiliato a collaborare
con la giustizia?
Determinante. La presenza di una donna, che condivide ed appoggia il percorso della collaborazione, è basilare. Non a caso tutti coloro che pensano di intraprendere il percorso della collaborazione, prima chiedono di poterne parlare con la moglie o con i figli, se già di una certa età. Gli affiliati si vogliono vedere sostenuti dai familiari più stretti, che poi saranno quelli che li seguiranno in questo percorso. Un’opposizione in questo senso complica, se non rende impossibile, la collaborazione e, se non c’è un sostegno, le collaborazioni sono destinate a naufragare nel medio/lungo periodo.Un discorso a parte per i minori, spesso loro, essendo nati e cresciuti in un contesto che aveva conferito “onorabilità” e che li distingue dagli altri, manifestano resistenze, nette opposizioni alla scelta di collaborare con la giustizia. Almeno per quello che abbiamo visto sul campo.
12. Una riflessione
finale: è singolare come, alla fine e giusto quello che abbiamo visto fino ad
ora, l’uomo che segna il percorso ed il destino dei congiunti, siano essi
moglie o sorella o anche figli, alla fine cerchi il loro supporto per
intraprendere un percorso di collaborazione. E’ un bel contrappasso!
Certamente,ma non
è insolito: la famiglia è l’unico nucleo che resta con loro. Sanno che
perderanno tutto: sostanze, ruolo sociale, dovranno lasciare la loro città e si
troveranno in una forzata solitudine. E’ impensabile intraprendere questo
percorso senza il sostegno della famiglia.